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La demenza spiegata ai bambini: un compito difficile, ma non impossibile (e anzi necessario)

Ricevere la diagnosi di demenza è un’esperienza molto delicata: tanto per gli adulti, che

dovrebbero possedere gli strumenti emotivi per affrontare la situazione quanto ma soprattutto per i bambini, che vedono mutare all’improvviso la propria relazione affettiva con figure di riferimento, come i nonni, talvolta zii o in alcuni casi i genitori.

Trovare le parole giuste per spiegare ai bambini la demenza è importante per aiutarli ad affrontare con quanta più serenità un momento familiare destabilizzante. Si tratta senza dubbio di un compito arduo, ma assolutamente necessario da assolvere. Vediamo insieme come fare.

RASSICURARE SENZA IPERPROTEGGERE

È importante innanzitutto rassicurare, far sapere al bambino che non è in alcun modo responsabile delle situazioni dolorose e che, nonostante la complessità degli eventi, gli adulti sono lì con lui.

Oggi c’è una tendenza ad iperproteggere i bambini impedendo loro di vivere le esperienze di

Sofferenza: negarle significa, però, privarli dei possibili strumenti cognitivi ed emotivi rendendoli più fragili e vulnerabili. 

I bambini, come tutti, hanno bisogno di avere un’idea molto chiara di cosa sta succedendo e di cosa succederà. Tacendo o non dicendo, non si limitano affatto le loro preoccupazioni, come comunemente si crede, bensì le si aumenta perché il bambino fatica a trovare in quella mancata o parziale spiegazione una correlazione con quanto sta vivendo.

La rinuncia dell’adulto fa sì che il piccolo rimanga solo, confuso, impaurito, cercando in autonomia poi risposte che potrebbero far provare un senso di colpa e di inadeguatezza.

RESTARE AGGANCIATI ALLA REALTÀ ATTRAVERSO CONCETTI SEMPLICI, MA NON BANALI

È importante che quanto raccontato abbia un nesso con la realtà: spesso affrontano cambio di abitudini, talvolta coabitazione, assenza in alcuni momenti della giornata di un genitore, o segni di stanchezza, tristezza e nervosismo che quotidianamente ha sotto i propri occhi. 

Sincerità, trasparenza, racconti con esempi pratici della vita di tutti i giorni: ecco la strada da perseguire.

Non complicati paroloni medici, ma frasi semplici che illustrino le caratteristiche basilari della malattia e le problematiche più comuni come ad esempio:

dimenticare i nomi delle persone o i ricordi di situazioni vissute insieme

difficoltà a parlare o a formulare frasi logiche, a dare il giusto nome alle cose o nel riconoscere le persone, anche di famiglia, quindi anche il loro

incapacità di ricordare i giochi fatti solitamente insieme o la strada percorsa per rientrare da scuola o la merenda che si faceva insieme

disturbi dell’umore dovuti come ad esempio improvvisa tristezza, scatti di rabbia

Appare importante evitare di ridurre la condizione di malattia a un problema di memoria, altrimenti il bambino non saprà trovare una spiegazione con altri possibili comportamenti.

INCORAGGIARE A FARE DOMANDE, DARE IL GIUSTO TEMPO PER ELABORARE

Incoraggiare il bambino a fare domande è una pratica che aiuta perché da questo possono nascere possibili soluzioni e soprattutto il bambino riesce a fare parallelismi con il proprio vissuto “come quella volta in cui non ricordavo dove avessi messo le scarpe…”.

Se non gli si dice la verità, il bambino percepirà più o meno confusamente d’essere stato

imbrogliato e imparerà a non fidarsi dei grandi e a non mostrare il proprio vero sentire;

segretamente, costruirà teorie proprie sulla vita e la morte.

Pertanto condividere le proprie emozioni si rivela una pratica che stimola il bambino a mettersi in

contatto con se stesso e a esprimere liberamente i propri sentimenti, anche quando si manifestano in forme che potrebbero sembrare non adeguate. 

È possibile, infatti, che i bambini di fronte alla notizia di una perdita si mettano a ridere o continuino a giocare dando l’impressione di essere “insensibili”; altre volte potrebbero avere reazioni aggressive o particolarmente “drammatiche”: hanno solo bisogno di tempo per elaborare quanto accade e trovare nell’adulto disponibilità all’accoglienza.

Diamo il giusto tempo affinché metabolizzino le informazioni, elaborino le loro domande e trovino il coraggio di porcele: teniamoci pronti ad intervenire sul senso di protezione e di cura che sarà

certamente necessario per ristabilire la loro serenità.

Il bambino ha risorse e strategie per stare accanto al dolore e non lasciarsi sopraffare se noi adulti non le azzeriamo con l’eccesso delle nostre ansie.

TENERE PER MANO NEL MOMENTO PIU’ BUIO, SENZA VOLER EVITARE IL DOLORE

Spesso quello che non vogliamo è farci carico del lavoro dato dal malessere di coloro che amiamo. Un conto è tutelare, guai a non farlo, ma un bene sincero accompagna per mano il dolore altrui, non lo evita privando l’altro di una delle esperienze più formative della vita, ovvero incontrare la sofferenza e sapere che è normale dover imparare a fare i conti. 
Il legame è ciò che resta e guarisce.