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A quarant’anni e soffro di vuoti di
memoria. È l’inizio di una demenza?
La capacità di ricordare può essere influenzata, specie nelle età più giovani, dallo stress, indotto dal sovraccarico di lavoro, di responsabilità e di preoccupazioni per il futuro

di Marco Trabucchi
da *Corriere della Sera* del 18 marzo 2018


Sono un uomo di 40 anni con un lavoro impegnativo, purtroppo da un po’ ho frequenti vuoti di memoria: dimentico i nomi delle persone, gli indirizzi, scordo dove ho messo chiavi, occhiali, appunti.
Perdo sciarpe e ombrelli.
Si tratta di segnali che fanno pensare
a un Alzheimer precoce o a una sicura
demenza da anziano?
Risponde Marco Trabucchi, Presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria
Ognuno di noi è attentissimo nel monitorare le proprie capacità di ricordare; talvolta ci esaminiamo silenziosamente, con ansia, per misurare quanto ci ricordiamo di un evento, di una lettura, di un problema che avremmo dovuto affrontare. Nei momenti di difficoltà l’attenzione alla memoria diventa ancor più sollecita: abbiamo paura di perdere una delle funzioni che ci permette di andare avanti, con i piedi solidamente nel passato e la testa nel futuro. Di questa preoccupazione sono testimonianza realistica le conversazioni che avvengono spesso tra le persone, ma ancor più la continua richiesta da parte chi si rivolge al medico per essere rassicurato, rispetto a eventi marginali, che di rado rappresentano il sintomo di una malattia. Diverse sono le domande che vengono rivolte, alle quali si deve rispondere in modo preciso e non generico, se si vuole realmente aiutare l’interlocutore (non il «paziente», perché sarebbe un grave errore far entrare queste problematiche nel circuito degli interventi clinici, anche se, talvolta, esercitare un’azione rassicurante, riducendo timori e angosce, ha di per sé una funzione terapeutica).
Timore senza età
Non vi sono barriere di età rispetto alle preoccupazioni e alle ansie per la propria memoria; il quarantenne in carriera esprime angoscia per il timore di non poter continuare le proprie elevate performance lavorative; il settantenne chiede conferme rispetto al timore di essere alle soglie di una demenza. In questo ambito gli uomini esprimono maggiormente le loro paure rispetto alle donne anche se nella nostra cultura sono ancora abituati a reprimere le proprie emozioni e quindi anche a non richiedere supporto, contatto sociale, amicizia.
Fattori di rischio
Teniamo presente che vi sono poi alcuni fattori di rischio che più di altri dovrebbero richiamare l’attenzione. Un primo fattore di rilievo è la solitudine: chi si sente solo tende a ridurre progressivamente i rapporti con gli altri (all’interno di un circolo vizioso per cui solitudine produce solitudine) e quindi a polarizzare su se stesso gran parte dell’attenzione. Ed è ben noto che secondo la più recente produzione scientifica, la solitudine aumenta il rischio di malattie e anche di demenza. È quindi necessario analizzare con attenzione la condizione di una persona ultrasettantenne che si sente sola, perché la dichiarazione di un disturbo di memoria può fondarsi sia sul desiderio di instaurare un rapporto con il medico, sia sul rischio realistico che stiano comparendo i primi segni di un deficit cognitivo clinicamente rilevante. Un altro fattore di rischio da non trascurare è la depressione, perché l’abbassamento del tono dell’umore esercita una duplice azione, come per la solitudine. Infatti, la riduzione di interesse per le vicende della vita porta ad una ridotta capacità di immagazzinare le informazioni che, quindi, non possono essere richiamate nel momento del bisogno. In altri casi, invece, la depressione è un vero e proprio fattore di rischio per la comparsa di una demenza o una condizione che ne accompagna l’evoluzione. Un terzo fattore di rischio, molto presente nelle età più giovani, è lo stress, indotto dal sovraccarico di lavoro, di responsabilità, di preoccupazioni per il futuro. L’impressione (soggettiva) di una riduzione della memoria è sempre motivo di ansia e non si quieta con rassicurazioni banali.
Demenza presenile: colpito solo l’1-2%
È necessario ricostruire le condizioni di vita che hanno indotto questa sofferenza soggettiva, per poi offrire a chi soffre una spiegazione razionale di quanto sta avvenendo. Si deve infine ricordare all’adulto che si interroga nel timore che i suoi «sintomi» (dimenticanza dei nomi delle persone, degli indirizzi, dei numeri di telefono, del posto dove si è lasciato il telefono) rappresentino un prodromo di demenza che la prevalenza della demenza in età presenile è solo dell’1-2% e si presenta all’interno di famiglie per la maggior parte già note per questa problematica.

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Ultimo aggiornamento di questa pagina 26 marzo 2018