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L'INCONTRO



Carlo, un uomo di 77 anni colpito dal morbo di Alzheimer.
Da 10 la sua vita è stata travolta dalla malattia, da 4 vive in una casa di cura. Non parla e non legge, non cammina e non mangia da solo, dipende totalmente dagli altri. Eppure conserva ancora la capacità di comunicare attraverso lo sguardo attento e penetrante che sa fare domande e dare risposte.
Il suo viso è quello di sempre, appena modificato dagli anni, come per tutti, Carlo è stato in uomo di successo: il suo lavoro gli ha dato la conferma della sua intelligenza, il successo con le donne la conferma del suo fascino.
Ha vissuto quasi sempre da imprevidente godendo tutto quello che viveva, compreso il piacere di essere munifico con coloro che amava.
Quando la malattia si è manifestata, la sua vita stava attraversando un periodo di grande e conquistata stabilità affettiva, familiare e lavorativa. Ma sembra che la vita non debba mai concedere qualcosa “in più”, anzi si compiaccia di togliere ciò che ha finto di aver dato.
Pablo, 10 anni, è chiamato affettuosamente Pancho.
E’ un ragazzino intimo, meditativo, sensibile, creativo, accanito lettore di libri e fumetti. E’ nato a Buenos Aires ma vive a Shanghai. Ha già attraversato, sia per il lavoro del suo papà che per vacanze, quasi tutti i continenti. Frequenta una scuola internazionale che lo fa vivere tra amici di tutte le razze e gli permette di assimilare culture diverse e parlare tre lingue. Conosce a menadito il computer e ha assimilato, come tutti i bambini della sua età, la conoscenza delle tecniche più moderne per studiare e giocare.
Lo scorso Natale Pancho viene a Milano dalla sua nonna e va con lei a trovare Carlo. Un piccolo albero di Natale lo aspetta con pacchetti regalo. Contengono delle manopole con testine di animali: infilati il pollice e il mignolo si può animarle e inventare un dialogo tra il micio e il castoro e la rana e il canguro.
Pancho infila il micio grigio e peloso, un piccolo bastardino, e lo fa muovere mostrandolo a Carlo. Carlo, attirato dal movimento, comincia ad osservarlo sempre più attentamente fino ad alzare una mano (l’unica che riesca a muovere) e ad afferrare il muso del gatto.
Pancho, evidentemente colpito dalla reazione di Carlo, non smette di animare il micio. Carlo guarda ora Pancho ora il gatto e così vanno avanti per molti minuti in una atmosfera sempre più emozionante per noi che assistiamo alla scena.
La comunicazione si è stabilita: gli occhi di Pancho pieni di tenerezza e di sorpresa, quelli di Carlo pieni di inconsapevole curiosità. La sensibilità e l’innocenza di un bambino hanno incontrato l’innocenza di un uomo a cui la malattia ha tolto la memoria e con la memoria la coscienza della sua vita.
Due innocenze estreme si toccano attraverso la magia del gioco e la semplicità dei gesti, in un dialogo che non richiede parole perché stabilito da due cuori semplici: quello del bambino non profanato dalla vita, quello del vecchio riscattato dalla malattia.
Pancho, prima di andare a mangiare l’hamburger nel vicino MacDonald dice: Ciao Carlo, ci vediamo al mio ritorno a Milano.


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