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PENSO AL SUO SORRISO, AL SUO AMORE



Qualche anno fa dopo la mia separazione sono stata per otto mesi a casa di mia madre con le mie due ragazze. Questo è stato il periodo in cui mi sono accorta che qualcosa non funzionava in lei, in quel dimenticare le cose che al primo momento non fai caso, pensi e credi che sia normale. La mia mamma era come cambiata; io pensavo che, forse con noi in casa era entrato anche il disagio, effettivamente le abbiamo sconvolto la vita, ma il problema non era questo, il problema era la malattia, già presente in lei da qualche anno, di cui ci siamo accorte stando con lei 24 ore su 24.
Oramai da quel periodo sono passati circa 6 anni e la vita della mia mamma sta mutando giorno per giorno. C’è stato il periodo delle urla e della paura e dover cantare qualche canzone per calmarla, tenerla sulle ginocchia e dondolarla piano piano, il periodo della depressione, il periodo del vagabondaggio. Ora si può dire che è un periodo buono. Il giovedì quando vado ad assisterla e mi assento dal lavoro, dico ai miei colleghi “vado a fare un pomeriggio di coccole”. In effetti è così, il tempo che dedico a lei sono di carezze, tanta pazienza e la dolcezza che non finisce mai. Mi punta i suoi occhi stanchi e mi guarda fissa anche per mezz’ora, come se mi trasmettesse quello che c’è dentro nel suo cuore, come cercasse un modo per dirti “aiutami, sto male ho paura”. In quel momento ti senti salire l’angoscia dallo stomaco, senti che sei impotente davanti a questa sua richiesta, ma nello stesso tempo non puoi mancare di esserle vicina, nessuno ti può sostituire. Io penso che lei sente il tuo cordone ombelicale legato a lei, in quel preciso momento sei INSOSTITUIBILE e un nodo alla gola ti assale; fra lei e te esiste e lo senti un legame FORTISSIMO. Allora le chiedo se mi fa un sorriso e a volte, non sempre, ne sono premiata.
La mia mamma ora è come una bambina di due anni. Ti viene incontro quando arrivi a casa con la sua camminata lenta, un po’ sconnessa, ti abbraccia e qualche volta dice “non andar via stai sempre con me”. In certi momenti ti guarda attonita, non riesce a focalizzare chi sei, le porgi la mano e come un bambino piccolo, mano nella mano, la accompagni nella sua poltrona.
Questi gesti, questo suo modo di porsi, oramai consueti, sono per me sempre nuovi e mi commuovono tutte le volte. Io penso che quando lei non ci sarà più, non resteranno impressi i giorni bui e duri della sua malattia, ma i momenti come questi di infinita dolcezza.
In alcuni momenti quando siamo io e lei sdraiate sul lettone per il riposo del pomeriggio, mi vedo come dall’alto della stanza e guardando la figura di mia madre sul letto e la mia vicina, penso alla mia infanzia con una mamma di cinque figli, (io l’ultima), una donna forte, proveniente da una famiglia contadina, ma intelligente e all’avanguardia. Lei nel suo paese era stata la prima ragazza ad avere una bicicletta, criticata da tutti i paesani perché una ragazza non doveva andare in bici. Anche la maestra l’aveva ripresa all’uscita della scuola, dicendole che non era una ragazza per bene. Una donna rimasta senza mamma alla nascita durante la prima guerra mondiale. Dolce ma allo stesso tempo determinata. Diceva sempre che per allevare 5 figli ci vuole temperamento fermo. Una vita passata per la famiglia e con la famiglia.
Ebbene pensando a tutto questo mi chiedo: è giusto finire così, annullati, annientati, cancellati, appiattiti da una malattia che consuma l’individuo, lo logora, lo demolisce pezzetto per pezzetto un po’ alla volta, al rallentatore?
E mi rendo conto ancora adesso che sto scrivendo di getto questo mio pensiero di non essere rassegnata alla sua malattia, penso e voglio pensare che non sia così, affronto giorno per giorno i mutamenti e cambiamenti, ma in effetti non sono ancora pronta ad accettarla e non l’accetterò mai, il mio io non accetta: è troppo devastante.
Penso che quando ti trovi in questo stato, l’unica ancora di salvezza sono i ricordi positivi avuti con lei, così pensi, gioisci e ti plachi da questa amarezza che ti assale, hai bisogno di pensare alle cose positive avute con lei, anche ad un sorriso, ad un suo modo di fare o di dire e senti lei ancora com’era, lo senti, è giusto! Lo senti nel tuo cuore, percepisci il suo amore che ha avuto verso di te.

Dedicato a ANNA 1917 dalla figlia LAURA 1955
Ti voglio bene


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