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VORREI, VORREI ... DIGNITA' E RISPETTO



"Qualche anno fa, in uno dei vari momenti di disperazione, vi ho inviato i miei pensieri, le mie rabbie e, con loro, tutta una serie di sentimenti contrastanti ... normali per chi vive quotidianamente a contatto con la “morte”.
Sì, perché un ammalato di Alzheimer è visto da tutti come una persona priva di sentimenti, di pensieri, di interesse ... Io ero l’unica a non vedere il mio amato padre così; gli facevo da “traduttrice” riferendo agli operatori della struttura le sue paure, le sue sofferenze, i suoi bisogni: ero la sua voce perché lo capivo, perché mi bastava uno sguardo per percepire le sue esigenze; anche quando lo vedevo con gli occhi persi nel vuoto, gli parlavo, gli raccontavo della mia vita, della nostra famiglia, lo abbracciavo e lo baciavo facendogli sentire tutto il mio amore.
Il percorso della malattia è stato terrificante, anche se relativamente breve; il progredire è stato inesorabile e me ne sono resa conto ancor di più, improvvisamente, un pomeriggio quando, come ogni giorno, sono entrata nella sala per prenderlo e portarlo in giardino, con la carrozzina, per un po’ d’aria. Ebbene, l’ho cercato con gli occhi ma ... non riuscivo a vederlo. E’ stata questione di attimi, però, non riconoscere il proprio papà mi è sembrato tragico!!!!
Lui era li, sembrava aspettarmi, era diventato talmente emaciato, consumato, senza alcun colore nel volto che i miei occhi non lo vedevano ... o forse era il mio cuore.
Quando è morto, nel gennaio dello scorso anno, pesava 30 chili e non mangiava più da mesi. Tante volte ho sperato che cessasse di vivere perché mi auguravo che la morte lenisse le sue sofferenze e desse dignità a quel corpo tanto martoriato. Ora che non c’è più non passa giorno in cui non lo pensi, in cui non desideri di poterlo riabbracciare, anche solo per un attimo.
Mi manca tantissimo e la razionalità, il pensare che è meglio così, non sempre aiuta.
Non voglio dimenticare questa esperienza, perché comunque mi ha dato tanto. Ho imparato a condividere il dolore, a capire meglio quello degli altri, a lottare per chi non ha voce, a rimanere vicina alla struttura in cui nonno Ernesto ha trascorso gli ultimi due anni di vita convinta che l’apporto, di chi ha vissuto in prima persona questo dramma, possa servire. Vorrei che si facesse di più per questa malattia, se ne parlasse, ci fosse maggiore informazione, maggior supporto per i familiari che devono essere preparati ad affrontare difficoltà indicibili, grandi momenti di solitudine, di disperazione. Vorrei che le malattie delle vecchiaia e questa in particolare non venissero intese come il momento finale e logico del percorso della vita.
Vorrei, vorrei….. dignità e rispetto fino all’ultimo respiro".

Maria Augusta Casiglio


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Ultimo aggiornamento di questa pagina 31 gennaio 2009